Sono passati ormai oltre 13 anni da quando KTM mi ha invitato a un vivace giro in montagna a Gran Canaria. Il sole bruciava nel cielo, l'asfalto era ruvido e le curve sembravano non finire mai. Condizioni perfette per testare a fondo la 690 Duke, all'epoca completamente riprogettata. Fu il momento in cui KTM fece un passo audace: la Duke, fino ad allora indomita, doveva diventare più matura senza perdere completamente la sua anima ribelle. Un equilibrio delicato che all'epoca fu atteso con grande interesse.
Ricordo ancora chiaramente la mia prima impressione. Invece di una Supermoto radicale, mi trovai improvvisamente su un Naked Bike – più basso, più accessibile, con una geometria completamente diversa. Il cuore pulsante era però sempre il formidabile monocilindrico LC4, solo che ora si presentava in una forma più civilizzata. 70 CV, 70 Nm – o come si scoprì in seguito, in realtà 74 CV e 78 Nm al banco prova. La modestia sembrava essere una virtù degli scrittori di brochure di Mattighofen.
Il ricordo di quei primi chilometri è ancora vivo dopo tutti questi anni. Il modo in cui la Duke si tuffava nelle curve, la risposta immediata al gas, che non poteva essere più diretta, e il comportamento sorprendentemente civilizzato per un monocilindrico. All'epoca scrissi che questo motore era "come di un altro pianeta" – un'affermazione che sottoscriverei ancora oggi.
Ma cosa è diventata la Duke, completamente riposizionata all'epoca? La strategia di KTM di rendere la Duke più accessibile al grande pubblico ha davvero funzionato? È il momento di dare uno sguardo indietro – e soprattutto di esaminare le esperienze a lungo termine della community con questa speciale moto austriaca.